TESTO CRITICO NICOLA GALVAN

Nonostante una manifesta, ed in qualche misura “sfrontata”, adesione al dato di realtà, la pittura di Cinzia Pellin sfugge sensibilmente alle categorie con cui si è soliti definire le espressioni visivecontemporanee.

La possibilità di ricondurla ai linguaggi dell’iperrealismo, con cui ad esempio presenta superficiali elementi di tangenza, viene vanificata da significative eccezioni rispetto alla resa mimetica del particolare, nonché da quanto l’artista proietta sulla tela del proprio sentire riguardo al soggetto.

Inoltre, il suo particolare approccio al ritrarre appare strumentale alla definizione di uno stile, che intende affermarsi come unico ed immediatamente riconoscibile: a siglarlo, è l’accendersi di rossi infuocati sulle bianche superfici dei volti, inquadrati dalla pittrice secondo primi piani di tipo cinematografico e resi incompatibili con qualsiasi possibile ambiente, quando non isolati dallo stesso corpo cui appartengono.

Il suo lavoro appare infatti caratterizzato da una intensa concentrazione sull’espressività femminile, che, nella visione dell’artista, ogni cosa sa alludere ed evocare; contestualmente,

la rappresentazione straniante dei dettagli di volti famosi, riportati in ampie dimensioni, accenna ad un suo immaginario inoltrarsi nelle immagini delle protagoniste dello spettacolo, fino a smarrirne i contorni.

Quelle di Cinzia Pellin sono però dive di cui, grazie alle facoltà introspettive della pittura, viene parzialmente annullata l’irraggiungibilità, per un istante concessa forse alle amiche ed alle donne comuni che hanno di recente fatto il loro ingresso nella sua personalissima galleria.