TESTO CRITICO FRANCESCA BARBI MARINETTI

Il codice della bellezza

L’IMPONENTE REPERTORIO CELEBRA L’INCANTO MULIEBRE CON STILE INCONFONDIBILE

Cinzia Pellin intreccia i fili della trama dell’immaginario femminile iconico, suadente, misterioso e sfuggevole a quelli dell’ordito di una coscienza e conoscenza nuova di sé.

Volendo utilizzare una metafora che ci orienti nell’universo di ritratti di Cinzia Pellin, prevalentemente di donne, potremmo usare proprio quella del “tessere”, parola che appartiene ancestralmente alla sfera muliebre.

È il procedimento a ben esprimere la manualità del fare pittorico nel comporre da elementi disparati un nuovo intreccio.

A fronte dell’immenso repertorio iconografico che ha come soggetto l’incanto femminile, così come quello dell’infanzia, Pellin torna a soddisfare l’occhio recuperando ed indagando la forza magnetica della bellezza assoluta, e cogliendone con sguardo cinematografico l’intensità espressiva e l’energia vitale.

Una ricerca che, a partire dalla resa fotografica, l’artista approfondisce attraverso lo studio di cromatismi e contrasti. Sulle estese campiture di bianchi dell’incarnato evanescente dei volti spiccano i rossi delle labbra carnose e delle unghie smaltate, così come

l’azzurro vitreo o la profondità scura di immensi occhi. Codici estetici che perdono la consueta valenza glamour per svelare con determinazione che la verità di quel fascino sta nella capacità di comunicare un’emozione al di fuori dal tempo, ovvero oltre la mondanità.

Uno stile, quello di Pellin, che attinge e al contempo sfugge ogni scuola di tendenza.

L’abilità della tecnica compositiva, meticolosa nella resa del dettaglio, nello stesso istante in cui induce a far pensare ad un gusto iperrealistico si libera nella spinta di insolite emozioni cromatiche forse più affini all’esperienza della popart.

Lo stesso omaggio a Marilyn Monroe è anche un omaggio all’icona pop, ma vibra di un miscuglio di forza e fragilità inconsueto.

Molte le attrici ritratte, costellazione di stelle destinate a brillare ben oltre la durata della vita, ma tra esse anche molti volti sconosciuti e ugualmente luminosi.

La reiterazione dello stesso soggetto dai molteplici aspetti esorcizza forse il rischio di solitudine e patologie borderline di chi calamita sguardi e attenzioni in eccesso.

Non sarà un caso che l’attrattività assoluta delle opere di Cinzia Pellin siano i grandi formati in cui i soggetti ritratti si rivelano nel loro apparire zoomati.

Un’esigenza questa che pesca nella sensibilità scenografica che l’artista ha affinato durante gli studi accademici ma che si presta come soluzione efficace nell’offrire un primo piano smaccato e assertivo ad un più maturo protagonismo di avvenenza.