Testo critico Lorella Pagnucco Salvemini

Inquadrature asimmetriche, irregolari. Tagli giocati sull’ingrandimento del dettaglio anatomico. Non volti, ma particolari di volti, presi di scorcio come fossero paesaggi. Incarnati che mantengono nella stesura a olio il bianco e nero essenziale della fotografia e vengono esasperati da una dimensione assai
prossima alla gigantografia. Uniche note di colore: verdi acqua e blu marini appena accennati, trasparenti quasi, a definire gli occhi, e il rosso fiammeggiante delle labbra a cui, talvolta, si affianca anche quello delle unghie. Un rosso assoluto, provocante, sfacciato. Che stordisce ed esalta, come la bellezza, astratta da quanto e’ perfetta, di queste donne.

Chi sono le misteriose creature che ci scrutano, ammiccano, invitano dalle tele di Cinzia Pellin?
Qualcuna la riconosciamo. Ci pare di averla gia’ incontrata fra le pagine patinate di una  rivista di moda, a una sfilata, forse a Milano, o forse a Palazzo Pitti a Firenze. C’e’ Anita Eckberg, colta in tutta l’esplosione della sua sensualita’ prorompente, come appena uscita dal set della “Dolce vita”, dopo la ripresa dell’immersione nella fontana di Trevi.

Poi c’e’ lei: la voluttuosa, abbagliante Marilyn Monroe, la femmina per antonomasia, il mito. L’amante
piu’ desiderosa al mondo, l’amica dei potenti che sosteneva le sarebbe bastato piacere ai camionisti, e
che ha finito per togliere il sonno e accendere la fantasia a intere generazioni di uomini. Compare
spesso l’attrice in questi dipinti, in una sorta di magnifica ossessione, con i suoi gesti morbidi e lenti
che alludono a una resa e sono, al contrario, di conquista. Con la sua bocca socchiusa e con uno
sguardo di desiderio fisso sull’obbiettivo, come se stesse facendo l’amore con la macchina da presa. E
c’e’ qualche amica, qualche modella di recente, pronta a piegarsi docilmente alla regia dell’artista, che
suggerisce pettinature, applica lei stessa i maquillage. Dice: mettiti cosi’, guarda la’, girati, sciogli i
capelli, sorridi. E magari, di tanto in tanto, pure: piangi.
E’ a questo punto che succede un vero e proprio coup de théàtre. Dall’artificiosita’ della messa in posa
passa inaspettatamente qualcosa che trascende la fissita’ delle espressioni e dei gesti. Qualcosa che ci
fa vedere quelle facce come delle quinte teatrali sulle quali si staglia la vita. Cosi’, la formazione
scenografica della Pellin si declina in una pittura dall’effetto scenografico, che altro non e’ che
seduzione e meraviglia. Nel seicento, sarebbe stata una splendida pittrice barocca, probabilmente
perseguitata dal tribunale dell’inquisizione per il trionfo di lussuria che traspira dai suoi quadri. Nel
secolo scorso, avrebbe fatto arricciare il naso ai critici cosiddetti militanti, per i quali stranamente,
l’impegno sociale si coniuga con la bruttezza estetica, quando non con la misoginia. E avrebbe fatto
accigliare la femministe piu’ ortodosse, ossessivamente programmate a scovare donne oggetto
ovunque. Specie nelle piu’ affascinanti.

Per fortuna sua la Pellin viene dopo queste epoche di eccessi. In piu’, e’ una giovane artista intelligente,
consapevole di se’. Per lei l’eterno gioco della seduzione non corre il rischio di trasformarsi in giogo. Le
sue, piuttosto, sono donne soggetto. Si riappropriano della femminilita’, dell’erotismo, imparano
nuovamente ad ammaliare. Hanno congedato il confessore e lo psicanalista. Semplicemente,
desiderano e amano essere desiderate.
Tornano ad ascoltare i vecchi trucchi delle nonne. Si fanno belle. Maniacalmente, spesso. E se a volte si
dubita che esagerino con il chirurgo per far sparire il benche’ minimo difetto, comprendiamo che per
loro, machiavellicamente, il fine giustifica i mezzi. Dalle bisavole mutuano anche i comportamenti.
Alternano alterigia a debolezza, malinconia e allegria, arrendevolezza e imprendibilita’. Lacrime e
risate. Espongono colli lunghi e candidi, avvicinano un dito a quelle bocche vermiglie, turgide e gonfie
che si presagiscono esperte. Alludono, sospirano. L’aria distante e assorta di chi, cosciente del proprio
potere, finge di non curarsene. O, al contrario, guardano con malcelata timidezza, languidamente, di

sottecchi, da sotto in su, in una promessa di felicita’ carnale che si indovina non verra’ disattesa. Ed
eccole, subito dopo, sicure della loro avvenenza, spavalde, dominatrici, superbe, liquidati
all’improvviso falsi pudori e reticenze, puntare dritte ai sensi con una intensita’ che non prevede
rifiuti. La donna del terzo millennio e’ questa, con umori, contraddizioni, segretezze che sono quelli di
oggi e di sempre.
Cosi’ mentre questa pittrice sembra eseguire ritratti, dobbiamo prendere atto di quanto invece riesca a
mettere a nudo l’anima.